Tartufo significa mistero: oscurità, nebbia, profumo; furtività, silenzio, complicità.

Questo scritto si propone di gettare un raggio di luce sui contorni del tartufo quale organismo biologico e sull’attività della sua cerca, ma non al fine di renderli- entrambi: organismo tartufo e ricerca- nudi, perfettamente rimirabili e dunque senza difese (la quale cosa sarebbe prima di tutto oltraggiosamente supponente e, in seguito, perfettamente impossibile), no, bensì a lume di candela, in modo tale semplicemente da scalfire la nube di confusione e segreto che vi aleggia attorno per immergersi in maniera corretta nell’affasciante arcano che rappresenta. Perché se al tartufo si derubano mistero e natura enigmatica, altro non resta che una noiosissima equazione.

 

Tubero o fungo?

Il primissimo sprazzo di luce deve posarsi sulla natura, la sostanza del tartufo. La cui conoscenza è del tutto imprescindibile per un corretto approccio. Certo, essa non è agevole fin dai primi passi dato che persino il nome scientifico contribuisce a renderne sfocati gli estremi: indipendentemente dalla varietà o specie esso è sempre indicato come Tuber, inducendo a ritenerlo un tubero. Del tubero però non ha le foglie, non dispone di una porzione superficiale dell’organismo e non ha, rispetto a questo, funzione di agglomerato di sostanze di riserva, secondo la definizione di “porzione di fusto sotterranea, ingrossata per l’accumulo di sostanze di riserva, più o meno globosa e dotata di foglie rudimentali” de Lo Zingarelli 2022. Perché il tartufo è invece un fungo ipogeo, ossia del tipo che compie il suo ciclo vitale interamente nel sottosuolo; contrapponendosi a quelli del tipo epigeo che invece vedono la superficie.

Struttura, simbiosi e carpoforo

Gran parte delle ombreggiature più buie e più intriganti del tartufo si devono espressamente al fatto che sia un fungo, e per l’appunto ipogeo.

Poiché fungo è dotato di un apparato vegetativo denominato micelio, il cui compito è assicurare le funzioni elementari di sopravvivenza dell’organismo e che è composto dal complesso di filamenti delle ife, cellule spesso di forma cilindrica che sono la trama basilare del tessuto fungino. Come altra prerogativa fungina esso trae nutrimento da altri organismi. Ed è questo uno degli aspetti più interessanti e dai risvolti opachi: il tartufo non sussiste di per sé, bensì esiste solo come simbionte, ossia come parte reciproca di una associazione chiamata simbiosi, che nel caso in oggetto è mutualistica o pura in quanto reca vantaggio ad entrambe le parti, i simbionti appunto. Gli organismi cui il tartufo si lega in questo rapporto sono le piante vascolari, mentre a livello pratico e biologico la simbiosi prende forma nella micorizza: un complesso di apici radicali della pianta penetrati dalle ife del fungo. Tale unione aumenta esponenzialmente e capillarmente la capacità della pianta di assorbire dal terreno nutrienti- sali minerali perlopiù- per via delle stesse ife, mentre fornisce al fungo sia un supporto per lo sviluppo che i nutrienti necessari.

Ma il re dei boschi non è ancora pronto a cedere tutti i suoi segreti: non entra in simbiosi indiscriminatamente con tutte le specie di piante vascolari, il rapporto si instaura tra specie reciproche, cioè a determinata specie di tartufo corrisponde una simbiosi con altrettanto determinate specie di piante; la ragione di questa reciprocità non è ancora completamente chiara.

Ife, micorizza e micelio compongono la parte strutturale dell’organismo, il quale ad un certo punto del ciclo vitale, fisiologicamente, si prepara alla riproduzione. E’ proprio questa la fase che coinvolge il tartufo come lo si conosce: la pepita prelibatissima che arricchisce l’emozione (e il portafoglio) dei cavatori nonché il panorama gastronomico dell’autunno/inverno.

I funghi si riproducono a mezzo delle spore, elementi simili a semi, che spesso sono contenute negli aschi, sostanzialmente delle sacche formate da un rivestimento di cellule monostratificate. Questo dettaglio è di importanza tale da determinare il nome della Classe scientifica di questi organismi: Ascomiceti.

L’organismo tartufo non fa eccezione. Tuttavia, contrariamente ai funghi epigei che per disperdere le spore si servono anche e perlopiù degli agenti atmosferici e del vento esso deve trovare un sistema diverso, poiché è ipogeo. Lo strumento alternativo designato dalla natura sono gli animali; e per far sì che siano efficaci occorre racchiudere gli aschi con le spore in un corpo fruttifero e dunque renderlo irresistibile attraverso un profumo penetrante, inebriante e delizioso: il tartufo. Zoocoria, questo il nome del sistema di disseminazione per mezzo degli animali, che trasportano i semi sul o nel proprio corpo. Nel caso in questione la nota olfattiva sublime ha lo scopo di rendere l’animale famelico portandolo così a scavare ed estrarre il tartufo per cibarsene avidamente. Le spore– i semi- protette dagli aschi transitano intatte nell’apparato digerente e vengono quindi dislocate e depositate in lungo e in largo tramite le feci.

La pepita globosa che identifichiamo come tartufo pertanto altro non è che il carpoforo, il frutto, del fungo, che ha la funzione di racchiuderne i semi, farli emergere in superficie e quindi disperderli propagando la specie. Questo porta ad una conseguenza logica di massima importanza: l’estrazione del tartufo– se correttamente eseguita- non intacca il micelio e le micorizze che dunque rimangono attivi e produttivi per diverse stagioni avvenire. Parimenti ad un albero di mele, una volta raccolto il pomo l’albero rimanere lì dov’è e la prossima stagione darà altri frutti.

Il carpoforo è composto dalla gleba (o polpa), che è la parte interna, e dal peridio, che è la scorza, il rivestimento che va a diretto contatto con il sottosuolo.

A fronte di tutto questo il tartufo è innegabilmente un fungo e non un tubero.

Animali vettori: i principali

Tra la fauna che svolge in misura maggiore l’opera di vettore delle spore del tartufo figurano:

  • Insetti= Ditteri e Coleotteri: essi scavano tunnel e depongono le uova sul tartufo, in cui poi nascono le larve che se ne cibano;
  • Invertebrati= Lumache: le chiocciole (dotate di guscio) -in particolar modo la specie Helix pomata– operano sui carpofori più superficiali, mentre le limacidi (prive di guscio) -ad esempio Agriolimax agrestis– riescono a raggiungere anche quelli a profondità maggiore divorandoli;
  • Piccoli roditori= Topo Selvatico e Arvicola: sono in grado di scavare cunicoli tramite cui arrivano facilmente anche ai carpofori più profondi;
  • Mammiferi di tana= Tasso e Istrice: entrambi dotati di vigorosi unghioni, sono perlopiù notturni e forniti di ottimo olfatto e dunque hanno tutte le prerogative per cacciare con efficacia i carpofori;
  • Mammiferi medio-grandi= Volpe e Cinghiale: la prima, guidata dall’olfatto, opera sulla falsa riga di un cane, ovvero scavando in maniera mirata e precisa; mentre il secondo, spesso in branco, con il naso e le zanne ara lo strato superficiale del terreno estirpando i carpofori più superficiali.
  • Uccelli= Beccaccia e Beccaccino: Sono migratori di bosco dalle dimensioni contenute e dal becco lungo e fine. Tramite questo riescono a penetrare il terreno arrivando al tartufo cibandosene ed estraendone delle porzioni. Queste specie in particolare danno l’incipit per un discorso più ampio che riprenderemo tra qualche riga, teneteli a mente.

 

Il mistero del tartufo è pertanto come si può facilmente evincere, intricato, profondo e non privo di diversi elementi di sorpresa.

Ciclo vitale

Prima di passare all’analisi della cerca- vero cuore del mistero e dell’emozione- chiudiamo il cerchio con uno sguardo indiretto sulle fasi del ciclo vitale del tartufo nonché sulle tempistiche; “indiretto” perché svolgendosi interamente nel sottosuolo è frutto solo di conclusioni a partire da ipotesi o premesse e mai risultato dell’osservazione diretta.

Sommariamente in ciclo vitale consta delle seguenti fasi:

 

Fase 1: Dalle spore germinano le ife, le quali vanno ad intaccare le radichette di questa o quella pianta vascolare creando la micorizza e dando origine e forma al tessuto vegetativo del fungo, il micelio;

Fase 2: Attraverso le micorizze e il micelio si crea un’ulteriore porzione di tessuto vegetativo adibito in particolar modo alla formazione e sussistenza del carpoforo, il micelio secondario;

Fase 3: Inizia la formazione del carpoforo (tartufo);

Fase 4: Il tartufo giunge a maturazione – viene tecnicamente definito “maturo” un carpoforo in cui almeno il 50% delle spore sia maturo-, gli aschi delle spore mature si rompono e inizia a rilasciare il proprio profumo richiamando le specie vettori; le quali veicolano le spore e le depositano con le feci.

 

Non è dato sapere con esattezza quanto tempo impieghino le ife a formare il micelio primario, le micorizze e il micelio secondario, quello che però si stima con buona approssimazione è il periodo richiesto al carpoforo per formarsi e giungere a maturazione: 60-90 giorni circa. Tempi ben diversi dai funghi epigei che di contro compiono il ciclo nell’ordine di pochi giorni.

Un tartufo maturo ha iniziato a formarsi due o tre mesi prima, e poiché il climax della stagione dei tartufi è l’autunno-inverno ne consegue che per la formazione siano vitali le piogge dei mesi estivi/ autunnali; le quali arricchiscono il terreno e lo umidificano, a tutto vantaggio dei due simbionti.

 

Specie, varietà e periodi di raccolta

Sette sono le specie e due le varianti di tartufi contemplate dalla legge quadro 752/85 e dunque interessate dall’attività di cerca, commercio e consumo. Di seguito una breve lista con relative piante simbionte e periodi di raccolta. Maggiori dettagli nelle schede dedicate.

  1. Tuber magnatum Pico= Tartufo Bianco Pregiato. Piante: Querce (farnia, rovere, roverella, cerro), salici (bianco, rosso, appenninico, viminale), pioppi, tigli e nocciolo. Raccolta: 1 ottobre – 31 dicembre;
  2. Tuber melanosporum Vittadini= Tartufo Nero Pregiato. Piante: Querce, faggio, carpini, nocciolo, conifere, pioppi, tigli. Raccolta: 15 novembre – 15 marzo;
  3. Tuber aestivum Vittadini (var. uncinatum Chatin)= Tartufo Nero Estivo/ Scorzone/ Uncinato. Piante: Querce, nocciolo, leccio, faggio, carpini, frassino, ginepro, pioppi, castagno, salici. Raccolta: 1 maggio – 30 novembre; 1 ottobre – 31 dicembre.
  4. Tuber macrosporum Vittadini= Tartufo Nero Liscio. Piante: Querce, pioppi, tigli, salici, carpini, nocciolo, faggio, leccio, ontano. Raccolta: 1 settembre – 31 dicembre;
  5. Tuber brumale Vittadini (e var. moschatum)= Tartufo Nero Invernale/ Moscato. Piante: querce, faggio, nocciolo, tigli, carpini, pini, abeti, larici, salici. Raccolta: 15 novembre – 15 marzo;
  6. Tuber borchii Vittadini= Bianchetto o Marzuolo. Piante: Querce, salici, pioppi, tigli e nocciolo Raccolta: 15 gennaio – 30 aprile
  7. Tuber mesentericum Vittadini= Tartufo Nero Ordinario. Piante: Querce, faggio, nocciolo, carpini, tigli, pioppi, salici. Raccolta: 1 settembre – 31 gennaio.

La Cerca

E’ solo armati di queste nozioni che ci si può, con il cappello ben calcato sulla fronte, introdurre furtivi e silenziosi tra i segreti della nebbia, a caccia di profumi ed emozioni.

 

Il cane, la (unica) scelta giusta!

L’uomo può arrivare a cavare il tartufo, qualunque esso sia, solo con l’aiuto di un animale, perché fondamentalmente del tutto inadatto per questa attività: soffre gli agenti atmosferici e la vegetazione, ha velocità limitata, non è un buono scavatore e soprattutto presenta un olfatto insufficiente. La scelta responsabile ed efficace è una sola: il cane. Tre fattori qualificano quest’ultimo come non plus ultra in merito:

  • Fiuto potente e di dettaglio;
  • Intrinseca propensione alla collaborazione con l’uomo;
  • Tecnica di lavoro che porta ad uno scavo preciso e circoscritto, che dunque preserva l’apparato vegetativo del fungo.

Tipi e razze

La ragione, e la logica, che sono le uniche qualità di cui l’uomo può vantarsi in questo tipo di ricerca, impongono che la scelta dell’ausiliare sia effettuata in accordo agli scenari nonché al tipo di tartufo e alla stagione in e su cui si andrà a lavorare. Poiché il tartufo cresce quale simbionte di svariate specie di piante è del tutto plausibile che il campo di azione preponderante sia il bosco; parimenti la gran parte della raccolta si concentra nella stagione autunno-invernale, sfondo di grandi precipitazioni e temperature rigide. Non solo: c’è un detto che afferma che “il tartufo si trova nella gamba del tartufaio…”, volendo così dire che per dare un senso all’uso della bilancia- e costituire quindi un guadagno concreto- si devono macinare kilometri ed ore in ricerca, da cui l’esigenza della resistenza.

Tutto questo, sommato, indirizza quasi forzatamente sui tipi e le razze da caccia. Ma attenzione, tra queste il cerchio va ristretto ulteriormente orientandosi verso quelle in primis che cacciano con l’olfatto, le quali nella stragrande maggioranza dei casi sono la controparte della cosiddetta “penna” (selvatici/ selvaggina alati), dunque niente segugi, levrieri o doghi; e poi che siano pensate per l’azione in stretta collaborazione con l’uomo, il che quasi automaticamente pone nell’ombra i cani da pista di sangue. Ne consegue che i papabili rimangono gli animali classificati nel Gruppo 7 e nel Gruppo 8- Sez. Cani da Cerca, nonché, sempre nel Gruppo 8, il Lagotto Romagnolo– annoverato nella Sez. Cani da Acqua-.

A questo punto si può fare il passo successivo.

Se è vero quanto detto sin qui è altrettanto vero che l’eterogeneità presente nei gruppi sopra citati è tale da impedire di effettuare una scelta “a colpo sicuro”: tra i due gruppi si trovano animali galoppatori e trottatori, cani a pelo corto e fino e cani a pelo lungo o ruvido oppure duro, razze da più di 50cm al garrese e razze da molto meno.

L’assunto essenziale da tenere sempre a mente è che il tartufo, indipendentemente dalla specie e diversamente dalla selvaggina, non è capace o suscettibile di spostamento, sta lì dov’è; per cui in primo luogo sono da preferire cani dall’attività più lenta e con raggio d’azione più contenuto, per rendere più naturale lo scandagliamento palmo palmo del terreno.

Iniziando ad operare una distinzione a livello di specie di tartufo invece è cruciale prendere in considerazione la copertura o protezione di cui il cane è dotato. Se l’oggetto della caccia è il tartufo estivo allora la scelta obbligata sarà verso razze con mantelli più leggeri e corti per non soffrire l’afa; mentre se la passione sboccia per il brumale o il borchii- tipicamente invernali- sarà meglio orientarsi su razze con mantelli più consistenti- ruvidi o duri perlopiù- per opporsi al vento e alla neve. Quest’ultima impone anche di considerare razze più alte per muoversi meglio nello spessore della coltre.

Tuttavia è inutile girarci attorno: la maggior parte va a tartufi per il bianco, il Magnatum pico, la punta di diamante tra le pietre preziose; il quale è solito crescere orientato verso nord nei fondovalle, all’ombra dove l’umidità stagna ed entra nelle ossa e dove i rovi crescono indisturbati. Un ambiente del genere è di più facile fruizione per quelle razze con pelo duro, ruvido o riccio, agilità maggiore e taglia e “gittata” minori.

Tutto questo è però soggetto ad una condizione: un addestramento ragionato e specifico in grado di scardinare l’istinto venatorio verso il selvatico delle razze da caccia per focalizzarne l’attenzione esclusivamente sul tartufo. Nei boschi, l’incontro con la selvaggina o il suo “inquinamento” del territorio sono sempre probabili e il cane deve mantenersi saldo e discernente. Questo problema non affligge invece il Lagotto Romagnolo, unica razza ufficialmente riconosciuta per il tartufo che fa del suo distinguo, unitamente al mantello a ricco molto stretto e isolante e alla taglia contenuta ma non troppo, proprio la completa inibizione verso il selvatico operata con una lunga selezione. Ma anche qui non vi è una formula esatta dato che mentre le razze da ferma o da cerca sono selezionate per cercare/ cacciare attivamente con l’uomo, il Lagotto discende dalla caccia in botte agli anatidi, in cui svolgeva perlopiù la funzione di raccolta e riporto e dunque una attività meno dinamica; tanto che alcuni ne denunciano una minor capacità di connessione lavorativa col padrone.

Comunicazione, complicità e copertura

Nel cacciar ciò che non si vede e non si ode comunicare è basilare. La sociabilità, definita come la capacità di instaurare un rapporto fluido e naturale, è in buona sostanza la prerogativa del cane come specie. Allo stato naturale esiste il lupo, il cane è stato sviluppato a partire da esso con il solo scopo di essere utile all’uomo, e dunque poter instaurare con esso un rapporto più ravvicinato, che passa giocoforza dalla comunicazione. Ecco perché il cane è l’animale perfetto per la cerca del tartufo oltre che per l’olfatto.

Nel bosco, la comunicazione è fatta di voce, ma anche di gesti, di sussurri, di incisi dialettali o di segnali; tutti volti alla rapidità e al pragmatismo, e tutti perfettamente confacenti al cane al punto da renderlo non solo un compagno, ma un complice.

Complice sì, è il termine corretto, perché se si pensa che il tartufo è oggetto di una borsa specifica che ne stabilisce il prezzo di anno in anno e che tale prezzo, per il magnatum pico, può arrivare facilmente oltre i 5000 euro/kg per la pezzatura grande (dai 250/300gr in su), è elementare capire come muoversi silenziosi, nell’ombra e senza farsi vedere sia un obiettivo primario.

Non meno complice deve essere la copertura del proprio passaggio, che concretamente significa operare uno scavo mirato e preciso senza divellere inutilmente terreno- modalità di azione tipica del cane- e dunque richiudere il foro con la stessa terra e coprirlo col fogliame; a tutto vantaggio sia del micelio fungino che resta intatto e dunque produttivo sia del binomio che terrà in mente la posta per future uscite.

Agriturismo La Montagnola

Il piacere e l’emozione che si provano mangiando il tartufo sono solo la metà di quelli che si provano andandone in cerca. Ma come vivere davvero quest’esperienza? Dove andare? Come farsi supportare adeguatamente? Basta affidarsi all’ Agriturismo La Montagnola e prenotarsi una truffle experience. La struttura, sorella di un allevamento di Cocker Spaniel, offre la possibilità di andare in cerca del re del bosco con Claudio, esperto tartufaio e allevatore, e i suoi Cocker in terreni di proprietà vasti e diversificati. L’agriturismo dispone di un appartamento curato e romantico, con ottima vista, e di prodotti gastronomici a km0 che formeranno la base del pranzo che segue all’esperienza, arricchiti dei tartufi trovati da voi stessi. Il tutto è semplicemente meraviglioso, “there are no other words for it really!” (cit. Jeremy Clarkson).

Dott. Francesco Predieri- Autore di Dog Attitude, Cinofilia di Utilità

Fonti: Agriturismo La Montganola nella persona di Claudio in particolare; Tartufi conoscerli, cercarli, trovarli- Andrea Daprati, Mariotti; Il cane da tartufi, la scelta e l’addestramento- Andrea Daprati, Mariotti; La mia passione per il tartufo- Marco Latini, ArtEventBook Edizioni.