UN CALDO CANE: IL BOERBOEL

Estate: cani al palo?

Nell’emisfero boreale luglio, agosto e settembre sono i mesi più caldi dell’anno. L’afa e le temperature oltre i 28 graditipiche di questi mesi inficiano notevolmente le prestazioni del cane, che fatica a bilanciare lavoro e regolazione della temperatura interna.

Il Canis familiaris, in quanto animale evoluto, è in grado di contrastare le variazioni di temperatura dell’ambiente esterno mantenendo pressoché costante quella del proprio ambiente interno; ciò gli consente di mantenersi attivo ed efficace in un ampio spettro di condizioni, ma a tutto c’è un limite.

Se infatti da una parte la temperatura è uno dei principali fattori che determinano la velocità delle reazioni biochimiche delle cellule, indispensabili per far fronte al fabbisogno energetico dell’organismo, particolarmente elevato nel caso di un predatore carnivoro come il cane, è anche vero che oltre i 43 gradi gli enzimi si denaturano e la cellula inizia a danneggiarsi e perire.

 

Ne consegue che l’ideale sia mantenere la temperatura di qualche grado sotto al limite così da garantire consistente velocità di reazione e al contempo un certo margine di manovra e sicurezza: nel cane la temperatura basale (a riposo) è di circa 38/38.5 gradi.

 

L’attività, il movimento, la caccia, il lavoro producono calore, il quale tenderebbe a provocare un aumento della temperatura interna se non intervenissero i meccanismi omeostatici (quelli deputati al mantenimento delle condizioni ottimali dell’ambiente interno). Ora, quando la temperatura dell’ambiente esterno aumenta l’efficacia delle contromisure omeostatiche diminuisce poiché, oltre al lavoro e allo sforzo fisico, anche l’ambiente stesso trasmette calore all’organismo; o quanto meno ne ostacola il raffreddamento. Ecco quindi che quando arriva l’estate lo spazio di lavoro utile si contrae, si riduce.

La maggioranza degli animali è rivestita all’esterno da un mantello, composto di pelo, atto a proteggere l’organismo dagli agenti atmosferici, dal freddo e dai danni meccanici; e il cane non fa eccezione. La controindicazione è che questo strato protettivo va in contrapposizione con la presenza delle ghiandole sudoripare; ossia con la possibilità di una rapida e massiva regolazione della propria temperatura interna. Così, il cane per raffreddarsi sfrutta la polipnea: l’aumento della frequenza degli atti respiratori; che, aumentando il flusso d’aria che passa nei polmoni, provoca l’evaporazione di acqua dai tessuti e dunque il raffreddamento del sangue, il quale a sua volta circolando nell’organismo lo raffredda.

Pertanto l’apparato respiratorio del cane deve assolvere a due funzioni, che a tratti di intersecano: l’approvvigionamento di ossigeno per rifornire la muscolatura impegnata nel lavoro e il raffreddamento dell’organismo. Quando tuttavia in estate il caldo aumenta l’effetto dell’attività fisica e inficia quello della polipnea il cane è costretto a fermarsi e a dare priorità alla respirazione per abbassare la temperatura.

Molossi cotti, o forse no…

Quanto detto fin qui è vero in generale per tutti i cani, ma è ancor più vero per alcuni di essi: i brachimorfi o tendenti tali nonché quelle costruzioni particolarmente grandi e potenti.

 

L’impronta somatica di una data razza è da attribuire sì all’area geografica e al clima di provenienza ma anche alla funzione, al compito per cui la si impiega(va). Ciò detto, sebbene esistano scopi, e quindi costruzioni, che sono indissolubilmente legati a determinate aree geografiche o climi- come i cani da slitta artici- e che pertanto sono specifici solo per essi, ne esistono altri che sono più diffusi e come tali devono determinare una costruzione funzionale ma adattabile.

Tra le funzioni in assoluto più trasversali vi sono la difesa personale e la guardia; le quali impongono notevole forza che è data da una mole medio-grande unitamente a una generale compattezza e a un notevole carico muscolare. Alla possanza deve poi aggiungersi una ottima resistenza alle intemperie così da performare al meglio in ogni situazione, protezione da eventuali ferite e potere deterrente, tutti ben rappresentati da un mantello di un certo spessore, a volte anche lungo, preferibilmente scuro e dalla buona copertura. Insomma, in una parola i molossi e gli affini; i cui elementi cardine sembrano conciliarsi meglio con il freddo che con il caldo.

L’essenza del problema sta nel fatto che con il riscaldamento globale nonché con la sua rapidità molte razze specificamente selezionate per la guardia e la difesa rischiano di non adattarsi abbastanza velocemente e di rimanere spossate.

Quindi? La soluzione potrebbe provenire dal Sud Africa…

Aspetto e proporzioni

Il territorio interno del Sud Africa è dominato dalla presenza di un massiccio altopiano, mentre le coste sono bagnate ad ovest dall’Oceano Atlantico e ad est da quello Indiano. Questa combinazione di fattori determina un clima ora subtropicale, ora temperato e ora mediterraneo a seconda della zona. Vale a dire che nella stragrande maggioranza del paese la temperatura media varia dai 15° in inverno ai 28° estivi. E’ proprio in questo scenario geografico e climatico che si è sviluppato l’unico molosso africano: il Boerboel.

Non ancora ufficialmente riconosciuto dalla FCI può rappresentare nondimeno una sostanziale e valida alternativa per il lavoro di guardia e difesa anche, e soprattutto, con il caldo.

L’aspetto è indubbiamente quello di un potente molosso. Le dimensioni sono generose: 66cm di altezza al garrese per i maschi, 61cm per le femmine; il peso deve essere relazionato alla struttura e alle proporzioni, con una regola ideale di 1:1 o 1:1,2 cm per kg, per cui si intuisce subito come il valore si attesti facilmente sui 55/60kg– che non è affatto poco-. In considerazione di questo rapporto il dimorfismo sessuale è piuttosto marcato.

Si dice che la testa faccia la razza, ebbene nel Boerboel questo teorema viene elevato alla massima potenza. La testa di questo molosso non solo lo qualifica ma ha una incidenza tale nell’aspetto esteriore che è praticamente totalizzante, preminente. Basti pensare che il suo perimetro eguaglia l’altezza al garrese. Vale a dire una testa vasta, voluminosa, protagonista. Nel dettaglio è: squadrata e cubica, il cranio deve essere largo e profondo; il muso è anch’esso largo, specie nei pressi dello stop, per poi mantenersi sostanzialmente invariato arrivando al tartufo così da configurarsi come tronco. La sua lunghezza è pari ad un terzo della lunghezza totale della testa. Proseguendo: il tartufo è comunque sempre ben pigmentato e con narici piuttosto larghe. Mentre dal lato opposto lo stop è ben evidente e largo tra gli occhi. Occhi che si situano in posizione frontale, ben distanziata, e che virano dal giallo al marrone intenso. Sopra, sul cranio, si incastonano, ben distanziate tra loro e attaccate alte, le orecchie a forma di “V”.

Venendo alla struttura generale. I diametri ossei sono possenti, la struttura ossea è granitica così da fornire una solida base alla muscolatura che è di contro poderosa e molto tonica. L’animale appare estremamente piantato sul terreno.

Un elemento particolarmente interessante è il mantello. Raso, cortissimo, con un sottopelo appena accennato, non estremamente folto ma comunque protettivo. Il colore è l’aspetto più intrigante: i predominanti sono il sabbia e le varie tonalità del marrone, dal chiarissimo a quello più nocciola. A latere si possono invece avere il tigrato (bellissimo!), in alcuni casi il nero focato e per finire il nero; alcune macchie bianche possono essere presenti anche se non desiderate. I colori dal sabbia al marrone più o meno scuro passando per il tigrato sono gli stessi che si ritrovano nei principali predatori africani (leone, leopardo, ghepardo, iena); coincidenza che potrebbe significare che queste tonalità assicurano potere mimetico nell’habitat dell’animale. I predatori sfruttano il mimetismo per la caccia mentre il cane lo sfrutta a suo vantaggio nella guardia. Una altra similitudine intrigante con alcuni di questi predatori è la maschera più scura sul muso e sugli occhi: secondo una teoria non ancora comprovata il ghepardo possiederebbe due striature scure appena sotto gli occhi che servirebbero a ridurre il riverbero e i riflessi della luce solare durante la caccia. Potrebbe essere che la maschera del Boerboel abbia funzione analoga, ossia di ridurre l’intensità della luce solare verso gli occhi. Ma non vi è certezza su questo punto.

Il “Burbull”-così si dovrebbe pronunciare- è descritto come un perfetto connubio di potenza e agilità, cosa confermata dallo sviluppo muscolare e che di contro non si può necessariamente dire di tutti i molossi. Si pensi al Mastino Napoletano ad esempio, un animale enorme con una potenza insuperabile ma decisamente poco agile.

Equipaggiamento anti-caldo

Avendone chiarito la morfologia è ora il momento di capire quali siano i suoi assi nella manica quando il termometro sale.

I dettagli, come sempre. Sono i dettagli, le finezze a fare la differenza; a separare ciò che può da ciò che non può. Nel caso del Boerboel, è appunto la colorazione del mantello, assieme alla sua leggerezza. Le varianti predominanti, ovvero quelle sabbia, marrone chiaro e marrone medio, gli consentono di non richiamare, di non attrarre, i raggi del sole. Così si porta ai minimi termini l’incidenza dell’insolazione come fattore di riscaldamento.

Oltretutto, non essendo l’escursione termica media annuale così marcata il Boerboel non avrà neanche la necessità di una muta tanto profonda come invece è d’obbligo per altre razze.

Al di sotto del mantello poi si trova sì uno strato di epidermide spesso che va a contribuire alla funzione di protezione dell’animale dato che il mantello è raso, tuttavia lo strato adiposo sottostante è meno ricco, meno abbondante, così da risultare meno isolante e meno pesante.

Queste due qualità- mantello raso e quasi senza sottopelo e strato sottocutaneo più sottile- contribuiscono ad un secondo effetto: rendere più definita la muscolatura dell’animale. Il che va a scoprire, a precisare la forza del cane. E questo assume, in termini di efficacia, massima rilevanza nella deterrenza.

Normalmente il potere deterrente è dato dalla stazza complessiva e acuito da colorazioni scure unite a mantelli che aumentino le proporzioni dell’animale. Tuttavia, proprio perché più pelo e colori più scuri trattengono di più il calore, il Boerboel deve ricorrere, in alternativa, ad una esibizione dei fasci muscolari, della propria forza bruta.

In ultimo, il muso è largo, le narici ben aperte e la bocca ampia, in questo modo la portata di aria per ciascun atto respiratorio è maggiore e questo significa che, durante la polipnea, l’evaporazione d’acqua è più consistente.

Attitudini caratteriali

Sotto il profilo caratteriale il Boerboel, nella sua attitudine alla guardia e alla difesa, viene descritto come più incentrato sulla persona che non sulla proprietà. La componente umana riveste pertanto maggior importanza rispetto a quella prettamente territoriale e, verosimilmente, questo è dovuto allo stile di vita delle comunità umane che lo hanno selezionato. Immaginando l’Africa e il suo territorio non è improbabile pensare che l’uomo fosse costretto a continui e diversi spostamenti e che il molosso lo seguisse maturando così un maggior riguardo per il proprio compagno che non per il luogo di rifugio. Questa inclinazione è una qualità del Boerboel che lo contrappone, ad esempio, ai classici pastori da guardiania, i quali concentrano la propria azione verso le greggi o gli armenti e i territori che di volta in volta, ma abitualmente, questi vanno ad occupare; con un interesse per l’uomo decisamente minore. Ciò a testimonianza delle diversità e specificità che intercorrono tra razze prettamente da guardia, quelle più orientate alla difesa e quelle addette ad entrambe e sempre all’interno del gruppo dei molossi. Una non vale l’altra e occorre conoscerle e capirle.

Entrando in tema: la mole assolutamente considerevole di questo molosso gli conferisce certamente un ottimo potere deterrente, irrinunciabile nei compiti di guardia e difesa, ma potrebbe far sorgere qualche perplessità. Normalmente infatti le maggiori stazze all’interno di una medesima specie si associano a panorami e temperature più rigidi (pensiamo al lupo: la variante nordica è considerevolmente più grande e pesante di quella mediterranea; lo stesso dicasi per l’orso o per la tigre); dunque un cane di 65kg e più parrebbe all’apparenza in contraddizione con il clima africano. Beh, c’è una spiegazione, e anche più che valida. Nell’ottica di proteggere il proprio nucleo, la propria comunità umana si deve essere in grado di stemperare lo spettro più ampio possibile di minacce, le quali sono principalmente date da due macrocategorie: altri umani oppure i predatori. Ma mentre fronteggiare l’essere umano può essere alla portata anche di molossi di stazza minore, lo stesso non si può dire dei predatori africani: leopardo, iena e leone solo per citarne alcuni. Il Boerboel necessita (o necessitava) di una robustezza e di una potenza sovradimensionate perché i suoi antagonisti sono (erano) anche i grandi predatori in cima alla catena alimentare; e questo nella scala delle priorità supera il fatto che una maggior mole tende a produrre più calore. Anche perché, come detto all’inizio, il cane ha la possibilità di raffreddarsi, mentre la potenza per misurarsi con predatori di 70/90/180kg non è da tutti.

Andando più nel dettaglio. Chiaramente uno scontro tra un leone e un cane, per quanto massiccio questo possa essere, ha un esito quasi certo, tuttavia spesso nel regno animale si assiste a comportamenti ritualizzati nonché a profonde ma rapide analisi di costi/benefici con lo scopo di evitare sprechi di preziose energie e sangue. Ebbene, sicuramente anche per i principali predatori alpha africani dover ingaggiare un combattimento con un cane di 60/70kg muscolato e possente come il Boerboel costringe ad una attenta rivalutazione; che verosimilmente ha come esito l’abbandono o il ripensamento.

A questo punto potrebbe sorgere una obiezione: e il Rhodesian Ridgeback allora? Non ha stessa stazza del Boerboel eppure era impiegato proprio per la caccia al leone, come si spiega? Semplicemente precisando che i due cani hanno scopi differenti. Mentre il Rhodesian era impiegato attivamente e in gruppo, seguito dai cacciatori muniti di fucile, per stanare il leone, spossarlo e confinarlo in un punto fino allo scoppio del colpo di fucile, il fine del Boerboel non era quello di andare lui dal predatore, bensì quello di porre una barriera tra l’eventuale azione di questi e l’uomo. Vi è grande differenza tra i due frangenti.

Boerboel o Mastiff? No, no, è un Boerboel!

Ai più acuti non sarà sfuggita la somiglianza che sembra intercorrere tra Boerboel e Mastiff o anche con il Bullmastiff(che è la razza derivante dall’incrocio tra il Mastiff e l’Old English Bulldog), specialmente nella colorazione chiara. Tuttavia le differenze più macroscopiche sono: in primis la taglia e poi la conformazione e le proporzioni della testa. I due Mastiff possiedono taglia nonché altezza maggiori, specie il Mastiff che è il più grande tra i due. Quanto alla testa invece nei primi la canna nasale appare più corta e inclinata, più simile a quella di un bulldog o boxer, mentre nel Boerboel è più lunga e distinta dal cranio. Ancora: gli occhi di Mastiff e Bull mastiff sono più scuri, non si hanno colori come il giallo o l’ambra come invece accade nel Boerboel; la chiusura dentale poi può essere a forbice, a tenaglia oppure addirittura leggermente prognata, di contro nel molosso africano si ha solo quella a forbice. Riappare la differenza circa il mantello come già sottolineato nelle righe precedenti: i Mastiff, originari dell’Inghilterra, in cui il clima è spesso umido e piovoso, presentano un sottopelo più denso e fitto rispetto al sudafricano.

Per concludere. Molte razze di cani adibite alla guardia e/o alla difesa si sono propriamente sviluppate in concomitanza con l’evoluzione della società umana e la sua stabilizzazione, ma il Boerboel rappresenta ancora una eccezione: si ritiene infatti che il suo sviluppo sia da collocare ad una epoca veramente antica, molto precedente a quella in cui l’uomo ha iniziato a organizzarsi in maniera stabile e strutturata come siamo abituati a concepire oggi. Questo ne fa una perla ancora più rara e soprattutto interessante, quasi come se fosse un capo d’abbigliamento particolarmente pregiato che va sì usato ma non abusato. Una regola è bene ricordarla, specialmente nel mondo perbenistico di oggi: le cose ben fatte, quelle plasmate da popoli che ne sapevo davvero di vita vera e che quindi hanno passato la prova del tempo praticamente immutate è bene che siano mantenute tali nella loro sostanza; senza che vengano inutilmente infighettate. Impariamo più che altro ad attenerci all’uso proprio che se ne faceva…

Francesco Predieri– Autore di Dog Attitude

Foto e grafiche: Monia Bacheikh– responsabile grafica e materiale fotografico di Dog Attitude

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