LIMITLESS
Senza limiti. Una sintesi pratica e soprattutto efficace dell’utilizzo del cane nell’attività venatoria. Questo il concetto che sta alla base del Deutsch Drahthaar. Il quale centra perfettamente l’obiettivo poiché, come razza, non nasce autonomamente bensì viene concepito e strutturato appositamente nel 1897, in Germania, da Herr Oberlander e dal barone Zedlitz und Neukrick.
Sebbene esso non sia stato plasmato da secoli e secoli di selezione naturale la funzione ha assunto comunque una tale importanza, rispetto a tutto il resto, che come riportato da Enrico Bixio ne Deutsch-Drahthaar ai primi allevatori era lasciata carta bianca purché si avessero risultati concreti e positivi sul campo.
Un’ altra razza?
Una domanda però sorge spontanea: la caccia è uno degli ambiti più nutriti a livello di razze canine, dunque perché si è sentita la necessità di un’aggiunta, nuova e diversa?
La risposta – e quindi i risultati intesi come caratteristiche della razza – va cercata e capita suddividendola in tre punti fondamentali.
- In primo luogo l’idea di una razza da caccia polivalente si deve alla Germania e allo spirito del cacciatore tedesco. Secondo quanto riporta Enrico Adinolfi ne Le razze da ferma tedesche il cacciatore tedesco concepisce la caccia come occasione di condivisione con il proprio ausiliario, come attività edificante e come contesto di creazione di un rapporto con esso; e in questo contesto egli desidera massimizzare l’impiego nonché il contributo dell’animale. Desidera cioè ottenere il massimo dalle qualità del proprio compagno sia in termini di sfruttabilità che di bontà della prestazione. Questa prospettiva si discosta da quella prettamente inglese che vede un cane per la ferma (Pointer ad esempio), un cane per il recupero e il riporto (Retrievers) e uno per la caccia alla selvaggina “da pelo” come la volpe (Beagle). Inoltre secondo il cacciatore tedesco il cane non esaurisce la propria funzione con la caccia ma è un partner che rimane tale anche fuori dal bosco dove deve proteggere e accompagnare l’uomo.
- Come secondo fattore bisogna considerare che sebbene si utilizzi sempre e indistintamente il termine “caccia” questa varia sensibilmente a seconda del selvatico, del suo stile di vita, delle sue caratteristiche e dell’ambiente in cui si muove. La parola “caccia” contempla dalla falconeria alla caccia in tana, dalla caccia con cavallo e muta di cani alla caccia in botte agli anatidi, dalla lepre al cinghiale, dalla stanziale alla caccia ai migratori sino alla caccia agli ungulati e a quella in alta quota. Ecco quindi che gli scenari che si prospettano sono molteplici e complessi. Molte se non tutte le razze impiegate in ambito venatorio sono specializzate per un particolare tipo di selvaggina, di territorio e/o per una determinata fase dell’azione di caccia. Vale anche qui l’esempio citato al punto uno: il Pointer inglese è stato selezionato per la selvaggina alata nelle vaste, pianeggianti e relativamente sgombre brughiere inglesi. Esso si caratterizza come galoppatore potente e profondo il cui compito principale è la ferma. I Retriever sono stati concepiti per la sola fase di recupero e riporto. Ancora: i Terrier sono efficaci negli stretti cunicoli delle tane e i cani da traccia sono abili nel seguire le piste di sangue ma non hanno abilità nel lavoro che precede lo sparo. Nella sola categoria della selvaggina “da penna”, ossia selvatici alati, si possono annoverare: fagiano, starna, beccaccia e beccaccino, anatra, gallo forcello, pernice rossa e bianca e gallo cedrone. Va da sé che ognuna di queste specie abiti un territorio diverso con qualità geografiche proprie. Questo si ripercuote necessariamente sulla potenzialità ed efficacia dell’ausiliario: una razza pensata per il galoppo potente e profondo difficilmente sarà efficace nell’ambiente montuoso dei galliformi, cani con pelo corto soffriranno di più il freddo dell’alta quota così come saranno più restii al riporto in acqua, razze con epidermide molto spessa pensata per proteggere dai rovi saranno meno dinamiche e veloci nell’azione di caccia… Detto ciò se è vero che alcuni cacciatori vengono completamente rapiti da un particolare selvatico o tipo di caccia è altrettanto vero che nell’ottica di godersi il proprio compagno, e imparare a conoscerlo più dettagliatamente, variare e sperimentare tiene vivo il fuoco della passione. Soprattutto se si considera che un cane in salute vive 10/12 anni e che la sua piena operatività si protrae per circa sei o sette anni.
- Terzo punto, piuttosto sottile, è il seguente: nella creazione di una razza da caccia quanto più completa e versatile possibile bisogna, io credo, strutturare il lavoro attorno ad una spina dorsale che sia sufficientemente solida. Dove per spina dorsale intendo una predisposizione ad una certa funzione o tipologia di caccia rispetto ad altre. Questo perché non tutte le suddette funzioni o tipologie si prestano in egual misura a coprire, intrinsecamente, lo stesso numero di fattispecie. La seguita ad esempio, da cui derivano i segugi, consiste nell’individuare, nello stanare e nell’inseguire fino allo sfinimento la preda. Questo tipo di lavoro è logico ed efficace nei confronti di quei selvatici che si muovono sullo stesso livello e terreno del cane, la terraferma, ma sarebbe del tutto inutile per i selvatici alati che, una volta individuati e stanati, si alzano in volo superando ostacoli e coprendo decine e decine di metri solo con qualche battito d’ala. Ecco dunque che se si vuole tendere alla versatilità massima è necessario orientarsi verso una predisposizione e metodo di lavoro che risultino logici per la maggioranza della forbice di scenari. I cani da ferma sono selezionati per individuare e segnalare tramite la propria posizione la preda stanandola o comunque attivandola solo in seguito ad un cenno del cacciatore. E questo possono farlo sia che la preda sia alata sia che si tratti di un lagomorfo (lepre) che si mimetizza nel coltivo sperando di passare inosservata. Se a ciò si aggiunge che tramite il fucile, arma efficace, precisa e a lunga gittata che infatti ha soppiantato qualsiasi altro strumento di uccisione adoperato in precedenza, l’uomo è in grado di porsi con eguale capacità di intervento sia nei confronti di un animale in grado di spiccare il volo che di uno abile nella corsa a terra ecco che il lavoro e la predisposizione di una razza da ferma riescono, a mio avviso, a risultare più decisivi e adattabili ad un maggior numero di scenari.
Appresi questi punti fondamentali è ora di capire che risultati abbiano prodotto e quindi vedere nel dettaglio questo cane da ferma tedesco a pelo duro.
Innanzitutto per potersi rivelare davvero efficace in un così vasto numero di situazioni, con così tanti selvatici e quindi in tutti i diversi terreni sono imprescindibili tre caratteri: costruzione solida e funzionale, mantello particolare e grande intelligenza.
Cominciamo da quelli empiricamente più lampanti.
Costruzione
Come già citato quella in questione non è una razza nata autonomamente ma è stata ideata di sana pianta dall’uomo. Nello specifico il Drahthaar si deve agli incroci tra cinque razze diverse: Stickelhaar, Griffone Korthals, Pudelpointer, Kurzhaar e Pointer inglese. Tutti cani da caccia, tutti predisposti e abili nella ferma (classificati nel Gruppo 7) e tutti con medesima taglia, media.
Ecco dunque che il risultato riprende queste qualità: il Drahthaar è un braccoide secondo la classificazione di Megnin, ossia presenta testa prismatica mesocefala (larghezza =50% di lunghezza) orecchie cadenti e labbra pendule sino ad oltre il profilo della mascella inferiore. L’altezza al garrese si attesta sui 57-68cm mentre la lunghezza del tronco eccede di poco tale altezza. Si parla di 3cm. Particolarmente interessante è il Rapporto di Snellezza Articolare, dato dal rapporto tra la distanza che intercorre tra garrese e punto più basso del torace (che per questa razza corrisponde praticamente al gomito) e tra questi e il suolo, che in questo caso è sostanzialmente identico. Questo dato permette all’animale di essere efficace sia al trotto che al galoppo rendendolo pertanto adattabile a un gran numero di terreni, e al contempo permette una buona forza unita ad agilità. Come tutte le razze da cui deriva il ventre è leggermente retratto favorendo la raccolta degli arti posteriori nel galoppo. Il quale, non forsennato ma energico, ritmato e controllato, costituisce l’andatura tipica della razza. In considerazione di ciò il torace presenta uno sterno che si estende all’indietro il più possibile con costole ben cerchiate proprio per favorire l’azione polmonare e quindi l’utilizzo di un volume di ossigeno proporzionale al carico di lavoro.
Rimanendo sull’argomento il sangue di Pointer inglese e quello Kurzhaar hanno certamente promosso una certa velocità di movimento in più rispetto a quanto avrebbero fatto le altre razze. Sempre il bracco tedesco a pelo corto (Kurzhaar) poi ha determinato una canna nasale profonda e leggermente montonina ed assi craniali appena divergenti, questo in netta contrapposizione con quella del Pointer inglese in cui sono convergenti.
Sicuramente tutte le razze hanno contribuito invece all’ottimo fiuto e alle grandi narici aperte indispensabili per intercettare l’effluvio e stabilirne la natura e l’intensità.
Mantello
E’ un fattore tanto importante da determinare persino il nome della razza: Drahthaar in tedesco significa “fil di ferro”.
Moltissime razze possono contare su una costruzione solida e ben proporzionata per la funzione a cui sono deputate, ma non tutte, e anzi la minor parte in ambito venatorio, a ciò aggiungono un così elevato grado di protezione nonché una barriera tanto tenace verso l’esterno. Quello del Drahthaar più che un mantello è una scorza, un guscio. E proprio questo tratto gli permette quell’assenza di limiti, ossia quella sfruttabilità pressochè infinita, nella caccia e su tutti i terreni. Rovi, freddo, acqua, ghiaccio, pioggia, vento, sottobosco umido e stagnante, tutto questo non piega il Drahthaar, che si mantiene ovunque efficiente e prestante, in virtù dell’isolamento che il mantello gli fornisce. L’animale è infatti anche conosciuto come “cane da ferma tedesco a pelo duro” proprio per evidenziare le proprietà del pelo. Esso è lungo dai 2 ai 4 cm circa, di straordinaria durezza, è folto e aderente in tutto il corpo. La durezza deve andare a braccetto con la densità e devono essere costanti in ogni porzione del cane; sebbene nella parte inferiore degli arti, sul torace e sul ventre la lunghezza possa essere minore. Questa minor estensione ma uguale densità e tessitura permettono buona protezione ma minor accumulo di sporco in quelle zone più soggette al contatto con il terreno. Si ricordi che il dogma iniziale per la realizzazione della razza era “alleva come vuoi ma con successo”; e un cane impossibilitato a galoppare fluentemente per le croste di fango accumulate nella zona dei piedi non sarebbe di certo stato vincente…
Sul cranio e sugli orecchi invece il pelo deve raggiungere al contempo la lunghezza minore e, in funzione di ciò, la densità maggiore; rimanendo sempre perfettamente duro. Nella parte anteriore della testa devono presentarsi, ben pronunciate e tipiche, delle sopracciglia marcate ma soprattutto una barba folta, non eccessivamente lunga e ruvidissima. In maniera opposta a quanto avviene per la sezione distale degli arti e per il torace e ventre la barba non è suscettibile di accumulo di sporco poiché il Drahthaar non caccia con il naso per terra; non è un segugio propriamente detto. Certamente cercherà l’effluvio anche abbassando il naso ma non è li che lo terrà per tutto il giorno. Barba e sopracciglia possono infatti avere funzione di protezione specifica per gli occhi e il muso sia contro le intemperie che nel caso della bassa vegetazione in cui il cane deve recarsi per recuperare la preda abbattuta.
Una nota interessante riguarda il tempo di sviluppo di questo pelo straordinario, che è prossimo allo zero. Nel Bergamasco ad esempio il mantello completo, con tutti i suoi bioccoli, si raggiunge verso il terzo anno di età, nel Drahthaar invece è già duro come il filo di ferro nel cucciolo si poche settimane. Questo la dice ancora una volta lunga sull’intendo, la focalizzazione e l’idea di utilizzo totalizzante che Herr Oberlander aveva in mente quando è nata l’idea di questa razza.
A questo tenace e vigoroso pelo di copertura si aggiunge poi uno strato di sottopelo lanoso che trattiene il calore dell’animale e lo impermeabilizza creando una combinazione perfetta di robustezza e resistenza.
A testimonianza di questa robustezza e resistenza l’utilizzo del Drahthaar da parte di Bixio (che non è più tornato indietro) si deve proprio al fatto che anni fa egli cacciava con un Kurzhaar e nel mese di Dicembre il cane tremava dal freddo, lì nelle langhe piemontesi. Quindi si è orientato su un animale migliore dal quel punto di vista, e quale se non appunto il Deutsch Drahthaar?!.
Al pari di tessitura, durezza, lunghezza e densità è importante anche il colore, che è precisamente individuato nel roano e nel marrone tinta unita.
Il marrone è semplicemente marrone con o senza una spruzzata di bianco sul petto, mentre il roano è più, dal mio modesto punto di vista, in linea con lo stile della razza nel senso che permette di avere una percezione visiva più immediata e dettagliata della funzione protettiva del mantello. E fa più rustico…
La durezza, consistenza e densità non deve cambiare da un colore all’altro.
Il roano è un mantello composto da diversi colori, secondo alcuni è binario ossia dato da soli due colori differenti, mentre secondo altri è ternario ossia con tre colori. Bianco + marrone oppure bianco + nero per chi sostiene che sia binario; e bianco + marrone + nero per la teoria del ternario.
Esistono diverse declinazioni di roano: il roano chiaro che prevede una maggioranza di peli bianchi rispetto all’altro/i colore, il roano classico che si ha con una ugual quantità di peli bianchi e degli altri colori, e il roano nero in cui a dominare sono i peli neri.
Intelligenza e connessione
Le qualità fin qui descritte permettono al Drahthaar di lavorare egregiamente dal punto di vista fisico ma sono di per sé sterili senza delle adeguate qualità psichiche. Entrambi gli autori – Adinolfi e Bixio– sottolineano come per il lavoro completo richiesto alla razza l’equilibrio e l’intelligenza siano doti imprescindibili, Bixio in particolare definisce “ragionatore” il Drahthaar, riconoscendogli buona memoria (si riferisce in particolare al ricordo dei luoghi in cui si è trovato un selvatico in particolare) e asserendo che sulla base di questa il cane si faccia più diligente e attento nel proprio lavoro.
E’ un cane che trae insegnamento dalla propria esperienza adattandosi via via al territorio che cambia. Un notevole indice di intelligenza poi è dato dal collegamento con il cacciatore, che Bixio, che a caccia impiega questa razza da anni, definisce eccezionale. In ogni momento della fase antecedente allo sparo, ossia nella ricerca e nella ferma, il cane si mantiene in contatto con l’uomo adeguando il proprio movimento alla sua posizione così da permettere sempre una buona coordinazione tra i due. Del resto se il cane svolgesse un ottimo lavoro ma a due km dal cacciatore sarebbe perfettamente inutile. Ciò detto non che il mantenuto collegamento significhi che l’ausiliario rimanga tra le gambe dell’uomo, anzi, significa invece che è dotato di intraprendenza e capacità di rispettare il suo ruolo ma che, ciò nonostante, non lascia indietro il padrone cacciando individualmente; cosa che può accadere con razze particolarmente adatte alla profondità. Vale la pena di ricordare ancora una volta che la regola iniziale fu “alleva come vuoi ma con successo”; in queste poche parole è racchiusa l’essenza dei vari aspetti che comportano l’usabilità effettiva dell’ausiliario.
Inoltre mi permetto di aggiungere che la barba e le sopracciglia marcate conferiscono al cane un’espressione che lascia trasparire le citate intelligenza, memoria e intraprendenza. Avete presente quando si fa la conoscenza di una nuova persona e in base all’espressione di questa si ha un primo sentore sulle sue capacità? Ecco, gli occhi vispi e sinceri e la folta barba dicono del Drahthaar proprio quello che abbiamo fin qui specificato.
E una volta finita la caccia?
Un elemento che personalmente mi intriga parecchio è che una volta finito di fermare, recuperare o seguire la traccia il cane continua ad avere un perché, continua ad essere compagno.
Limitless anche perché la caccia non è che uno dei mille impieghi possibili: molti sono gli esemplari utilizzati nella cerca del tartufo, che si svolge in ambienti similari a quelli della caccia e pertanto valgono le medesime considerazioni sulla costruzione, sulla capacità protettiva del mantello e soprattutto sulla connessione con il padrone; ma anche il soccorso nelle sue varianti di pista, superficie, macerie, neve e perfino acqua possono essere un ambito plausibile.
Una volta dismessi i panni del lavoratore il Drahthaar non finisce di star vicino al proprio padrone svolgendo funzioni di guardia della proprietà, della persona e dei cari.
I limiti sono fatti per essere superati e il Drahthaar è stato appositamente concepito e strutturato per superarli tutti divenendo l’espressione poliedrica in ambito cinofilo e venatorio.
Per il presente articolo si ringrazia sentitamente il Sig. Enrico Bixio, titolare dell’Allevamento della Mimosa di Krieg, per la disponibilità, la cortesia e la passione dimostrateci.
Un tempo Il Corso era anche impiegato in una particolare caccia al cinghiale che si praticava utilizzando una lancia o picca al posto del fucile. Sostanzialmente esso doveva bloccare il cinghiale tramite morso sui fianchi – questo perché il cinghiale presenta tronco rigido e non riesce a girarsi e contrattaccare- così da permettere al padrone di avvicinarsi e sferrare il colpo al petto del selvatico.
L’abilità sui cui poi si fondano tutti questi impieghi, ossia appunto la presa, non è però scevra di un corrispettivo impegno anche da parte dell’uomo/padrone. Poiché bisogna possedere l’abilità, il mestiere necessario a saperla impiegare con correttezza, metodo ed efficacia. Pertanto il Corso non è una di quelle razze “ready to wear” che una volta estratte dal baule della macchina sono pronte e autonome; è più un compagno di lavoro che va capito, interpretato, con cui va condivisa l’esperienza sul campo e con cui crescere professionalmente ed umanamente assieme.
Il Corso è come una grossa ascia da pompiere, quelle con il piccone dalla parte opposta alla lama, bisogna capirne il peso, le conseguenze di ogni colpo, l’angolo con cui colpire e la forza da applicare. Si possono eseguire lavori di fino come spelare il legno per far partire il fuoco o sfondarci una porta per aprirsi una via ma l’uso corretto e completo richiede passione, dedizione ed impegno.
Breber, che ricordo essere stato il recuperatore della razza, afferma “Abbiamo salvato il Corso, ma c’è ancora gente capace di usarlo?”
Francesco Predieri
Fonti: Deustch Drahthaar (Cane da ferma tedesco a pelo duro)- Enrico Bixio; Le razze da ferma tedesche- Enrico Adinolfi; Principi di Locomozione nel cane-Mario Canton; L’enciclopedia delle razze canine-De Vecchi editore.