Carini, simpatici, vispi e dalla taglia contenuta i Terrier sono perfetti cani da metropoli e vita mondana appositamente selezionati per indossare piumini, impermeabili e collarini colorati; oppure per essere portati orgogliosamente in una borsa Luis Vitton medio-grande senza sporcarne il contenuto.
No, un attimo…
Sul fatto che siano simpatici e vispi non ci piove ma quanto alla finalità, beh… Terrier e Louis Vuitton dovrebbero essere due rette parallele. Impossibili da far incontrare.
Vera funzione e antagonisti
Sì, perché i Terrier sono cani da caccia, e della tipologia più povera, faticosa e fangosa: quella in tana. Essa si sviluppa tra i ceti meno abbienti e può essere definita come “caccia di indiretto sostentamento”: l’obiettivo non è infatti la carne bensì la salvaguardia di campi coltivati, pollai e allevamenti; reali fonti di sopravvivenza dei contadini.
E’ dunque una caccia al “nocivo” definito come animale idoneo ad arrecare danno alle attività umane. I principali esponenti sono: volpe, tasso, faina, donnola, martora, nutria e coniglio selvatico. Gli ultimi due trovano nei campi coltivati un ambiente ideale in cui rifugiarsi e una notevole fonte di alimentazione; di contro gli altri fanno razzie nei pollai e negli allevamenti potendo arrivare ad uccidere anche un vitello o un agnello di pochi giorni (la volpe), oppure abbattendo un numero di animali molto maggiore al proprio immediato fabbisogno (la faina con le galline ad esempio).
A questo punto si entra nel vivo…
Come si può notare tutti gli animali citati vivono abitualmente in tane intese come fitte reti di cunicoli scavati in profondità e dotati di una o più uscite; parimenti quelli che più di tutti possono arrecare danno- attraverso l’uccisione di galline, agnelli, vitelli etc- sono classificati tra i carnivori e sono quindi dotati di denti, artigli e unghioni idonei ad offendere letalmente.
Tenendo a mente che molti di questi animali si attivano per lo più nelle ore notturne, in cui i contadini giacciono sfiniti nei loro letti dopo e prima di un’intesa giornata di lavoro, l’unica attività di contrasto davvero efficace è quella tramite cui li si preleva attivamente dal rifugio, la tana appunto. Indi per cui la caccia direttamente in tana.
Il sottosuolo e la natura carnivora del selvatico sono quindi gli elementi plasmanti della tipologia terrier.
Iniziamo gradualmente.
Plasmati dal sottosuolo
Conformazione e stazza
La tana, che è il teatro dell’azione, impone restrizioni e limiti alla conformazione fisica: il cane deve entrarvi e una volta dentro deve potersi muovere, girare e abbaiare mantenendo un buon margine di manovra e una buona areazione; motivo per il quale la taglia deve essere contenuta. Gli esperti affermano che non si dovrebbero superare i 35/40 cm al garrese. Parimenti gli arti e le zampe devono agevolare il movimento e soprattutto lo scavo all’interno della tana poiché i selvatici sono soliti sotterrarsi o erigere muri di terra che blocchino il passaggio; per cui devono essere corti ma molto robusti. La coda deve essere anch’essa corta per agevolare la possibilità del cane di girarsi nei tunnel e impedirgli di rimanere incastrato. Il grosso dell’azione si svolge con i due animali che si fronteggiano e in questo frangente le orecchie del cane non devono costituire un impedimento al morso o fornire al selvatico un’appendice facilmente aggredibile (anche considerato che sono un punto piuttosto sensibile), ecco quindi che i terrier hanno orecchie piccole, triangolari per lo più e attaccate alte.
Mantello
Quanto al mantello esso deve fornire protezione sia contro le intemperie, il freddo e il fango, che contro gli attacchi dell’avversario; queste due esigenze vengono rispettate in particolar modo attraverso la consistenza e tessitura del pelo duro; presente nella maggior parte delle razze del tipo in questione.
Ultimo ma non ultimo un buon terrier deve possedere un ottimo fiuto per decifrare la nota olfattiva del selvatico e seguirla imperterrito tra le varie diramazioni della tana.
Tutti questi elementi permettono fisicamente al cane di operare in tana ma, seppur indispensabili, non ne costituiscono l’aspetto più affascinante. Questo onore va alla componente psicologica e al relativo concetto di gameness, definito come “ottenimento del risultato costi quel che costi”.
Per poterlo comprendere è necessario capire in cosa consistente la caccia.
Dinamiche e Bolting
Arrivati nei pressi della tana al cane viene fatto indossare un collare con localizzatore, dopodiché lo si libera e il terrier inizia a cercare la traccia odorosa. Poniamo che il selvatico sia effettivamente dentro la tana e che quindi il cane lo fiuti e vi si introduca. A questo punto parte la ricerca/ inseguimento in cui il cane pedina l’antagonista spesso servendosi anche dell’abbaio per indurlo a muoversi e quindi uscire dalla tana; nel mentre anche il selvatico avverte la presenza del cane e cerca di seminarlo abbandonando la tana oppure rifugiandosi negli anfratti più nascosti e sbarrando la via al primo.
In tutto ciò il cacciatore, denominato terrierman, segue i movimenti del proprio ausiliario tramite il segnale del localizzatore e si pone nei pressi della/e uscite.
Nel caso in cui il selvatico cerchi effettivamente la fuga dalla tana sono possibili tre scenari:
- fugge servendosi di un’uscita nascosta non sorvegliata dal cacciatore e quindi l’azione si conclude (le volpi sono restie a riutilizzare tane in cui siano state braccate, quindi sarà necessario riprendere l’azione di ricerca);
- arrivato in prossimità di un’uscita e avendo percepito il terrierman lì appostato, dietro l’incessante pressione del cane prova il bolting (azione che si addice maggiormente alla volpe rispetto al tasso) ossia un rapidissimo scatto per fuggire. La velocità può essere tale da evitare il colpo di fucile del cacciatore e quindi guadagnare la fuga;
- nell’esecuzione del bolting il selvatico viene abbattuto dal fucile del terrierman;
Poniamo invece che il selvatico non fugga dalla tana. Nel qual caso normalmente va a rifugiarsi in un tunnel cieco in profondità e si prepara ad affrontare il cane.
Dopo qualche tempo, e se il terrier ha un buon naso, raggiunge l’animale e inizia l’azione vera e propria.
Il cane cerca di bloccare la via di fuga e mantenere fermo in quel punto il selvatico tramite abbai e contatti (offese fisiche) sino a sfiancarlo per poi cercare l’abbattimento andando in presa, vale a dire un morso potente e lungo. Di contro il secondo si difende e cerca di far desistere il primo utilizzando artigli, denti e unghioni nel caso del tasso; i colpi inferti al cane vengono detti punizioni.
In superficie il terrierman deduce che i due animali si stiano fronteggiando proprio poiché il localizzatore segna come fermo in un punto il terrier. In epoca passata, quando la tecnologia non era ancora così avanzata, si usava una trivella con una sorta di imbuto ad un’estremità che ampliasse il suono dell’abbaio per permettere di localizzarne meglio la fonte.
Tale situazione può protrarsi addirittura per ore.
Una volta individuata con ragionevole precisione la posizione degli animali il terrierman inizia velocemente a fare la sua parte, ovvero il digging, scavare fino ad arrivare al punto in cui sta avvenendo lo scontro. Oltre alla posizione data dal collare infatti il cacciatore non ha modo di sapere se il suo ausiliario sia in vantaggio oppure se sia stato sopraffatto dall’avversario e così deve raggiungere il luogo dello scontro. Lo scopo finale della caccia in tana, è bene precisarlo, non è la violenza gratuita nei confronti di entrambi gli animali ma bensì eliminare i nocivi il più rapidamente ed efficientemente possibile e sulla base di questo selezionare cani efficaci. Niente violenza fine a sé stessa quindi.
Gli scavi possono raggiungere profondità superiori ai 2 metri e questo significa tempo e fatica, sia per l’uomo che mena il badile che per il terrier che tiene fermo il selvatico.
Raggiunto il punto d’interesse il cacciatore può constatare che il cane sia riuscito nell’abbattimento o che sia stato sopraffatto e che il selvatico sia fuggito oppure che lo scontro sia ancora in atto.
In quest’ultimo caso il generalmente si può:
- bloccare il selvatico interponendo il badile tra gli animali e sostituire il cane con uno più fresco e dalle migliori doti “risolutive” (più esperto e capace nell’abbattimento);
- costringere l’animale al bolting avendogli aperto una possibile via di fuga tramite lo scavo con i due finali già menzionati sopra al riguardo.
Il citato concetto di gameness risiede proprio nell’anteporre il proprio obiettivo alla fatica, alle punizioni, al buio della tana, al freddo e alla fame per tutto il tempo necessario. E’ una dote che permette al cane di sentirsi lui per primo predatore e di perseverare irriducibilmente nella propria funzione.
Sebbene la tenacia, il coraggio e la determinazione debbano essere componenti caratteriali presenti in ogni terrier che si rispetti solo alcuni possiedono il gameness. E’ una qualità intrinseca che eleva un soggetto a “vero lavoratore”.
Novak Djokovic, uno tra i migliori giocatori di tennis della storia, ha iniziato perché un’insegnante lo vedeva assistere agli allenamenti e alle partite del campo costruito davanti al ristorante dei genitori. Un giorno gli ha chiesto se volesse provare, il bambino prodigio ha risposto di si e nel giro di poco tempo i movimenti erano già fluidi, puliti, efficaci. Una dote, che o possiedi o non possiedi. Chiaramente tutti i talenti e le doti vanno coltivati e perfezionati ma se c’è la scintilla il fuoco parte, se questa manca si può arrivare ad un buon livello ma non si entrerà mai nel novero dei campioni.
Made in England
A ben guardare la quasi totalità delle razze terrier è di origine inglese, eppure le volpi, i tassi, i pollai e i contadini erano presenti in tutta Europa e non solo; quindi, come si spiega questa egemonizzazione pressochè totale?
Considerando due fattori: il primo è che storicamente gli anglosassoni sono sempre stati promotori di sfide tra animali diversi: si pensi al bull baiting (combattimenti tra cani e tori) , al badger baiting (combattimenti tra cani e tassi) e al ratting (pratica in cui un cane doveva uccidere il maggior numero di topi possibili in un dato lasso di tempo); e in secondo luogo i nobili del tempo iniziarono a praticare la caccia alla volpe, che presto divenne sport di alto rango e occasione di ritrovo sociale. Così iniziarono a garantire indennizzi ai contadini per i danni arrecati dalle volpi purchè non le abbattessero e contemporaneamente richiesero la figura del terrierman, contadino che dotandosi di cani come quelli in questione stanasse la volpe dalla tana la sera prima della caccia e sbarrasse gli ingressi in modo che il giorno seguente non sarebbe potuta sfuggire ai Foxhound.
Keep it simple
In un tempo, il nostro, in cui la pratica venatoria non è più mezzo di sostentamento e in cui la tecnologia permette una drastica riduzione di fatica ed esperienza necessaria per raggiungere il risultato, cacciare in tana con i terrier può contribuire a preservare l’essenza dell’attività venatoria: contatto con la natura, rispetto del selvatico quale sfidante e selezione di ausiliari sempre più capaci ed efficaci.
Tuttavia se brandire il badile vi sembra troppo estremo i terrier sono ancora il massimo nella lotta alla proliferazione di topi e ratti in fattorie, stalle, scuderie o allevamenti.
Nella nostra società, in cui per evitare di turbare la sensibilità pubblica e mantenere una facciata di presunta civiltà le discariche vengono ufficialmente chiamate “Oasi Ecologiche”, la derattizzazione viene operata con veleno e trappole a colla che implicano tempi, costi di ricambio e sofferenze non necessarie. Un comunissimo topo può impiegare giorni per morire una volta che sia rimasto incollato alla trappola; ore e ore passate a dimenarsi dalla colla e patire la fame. Contemporaneamente migliaia di terrier vengono costretti a presenziare ad aperitivi inutili agghindati come soprammobili. Non sarebbe meglio mettere da parte quest’aura di presunta civiltà, chiamare le cose con il loro nome e impiegare i cani per quello a cui servono?
Perché i terrier sono sì piccoli, carini e vispi ma dentro sono soprattutto delle palle di fuoco a 18000 gradi!