CRESTA ed ECLETTISMO IL RHODESIAN RIDGEBACK
Gruppo 6-Segugi e Cani per piste di sangue, sezione 3A– Affini, non soggetto a prove di lavoro. Un limbo indefinito: non un segugio o un cane da traccia, non un cane da lavoro, non un mero animale da compagnia. Cos’è quindi il Rhodesian Ridgeback? In sintesi? E’ eclettico. “Chi armonizza principi provenienti da sistemi o indirizzi differenti” ma anche “Chi, nella vita pratica, si dedica, per lo più con successo, ad attività o professioni diverse”, (Treccani). Termine elegante, pragmatico, perfetto per tratteggiare il profilo dell’unica razza sudafricana ufficialmente riconosciuta.
Questa preziosa qualità gli deriva da un contesto di origine scomodo, a tratti violento, che non faceva sconti ed era molto esigente: la colonizzazione africana.
Avvertenza
Avviso alla sensibilità. Il presente articolo farà cenno, per desiderio di verità, cronaca e completezza, a temi quali colonialismo, schiavitù e caccia a specie adesso protette. Coloro che non potessero sopportare le implicazioni di queste tematiche sono pregati di non proseguire oltre; esistono alternative più perbenistiche e politicamente corrette.
Origini coloniali
Africa. Il Rhodesian Ridgeback si sarebbe potuto sviluppare solo qui. Per via del tipo di fauna selvatica, dell’abbondanza di risorse minerarie abbinata a grande disponibilità di forza lavoro e attraverso il colonialismo.
Il continente africano non era estraneo alla specie canis. Nei secoli passati il popolo dei Khoi Khoi, conosciuti anche come “Ottettoni”- il termine deriva dall’olandese e significa “balbuzienti”, per via dei suoni delle lingue khoisan-, migrò dal Medio Oriente all’Africa accompagnato da cani semi addestrati impiegati nella cura e gestione del bestiame, ma anche nella caccia e nella guardia. Questi cani dei Khoi Khoi rappresentano il substrato primario del Rhodesian Ridgeback. Di loro si sanno solo due cose: erano perfettamente adattati al clima e all’ambiente africano e presentavano una cresta di pelo che cresceva in senso contrario sul dorso.
Da qui in poi la questione diventa europea, e colonialistica.
Il passo successivo lo compiono i “boeri”, coloni olandesi protestanti che nel diciassettesimo secolo si insediarono in Sud Africa dedicandosi ad agricoltura e pastorizia. Si imbarcarono con i propri cani, constatandone tuttavia l’inefficacia una volta giunti nel territorio e nel clima africani. Il seguito è piuttosto logico: i boeri iniziarono ad incrociare i loro cani con i cani dei Khoi Khoi, già presenti e adattati al nuovo ambiente. Ed ecco i primi veri antenati del Rhodesian.
Lo sviluppo e il raffinamento della razza, verificatosi con incidenza tra il 1700 e il 1950 circa, vede l’immissione del sangue di razze differenti. Ad eccezione di alcune di esse, il minimo comune denominatore è l’attitudine alla caccia. Si spazia da quella ad olfatto dei cani da penna, a quella a vista dei levrieri sino a quella a contatto dei terrier. Airdale Terrier, Greyhound, Irish Terrier, Pointer e Deerhound, sono queste le razze da caccia stimate. Mentre per consolidarne l’attitudine protettiva e combattiva nonché per conferirgli statura e potenza si è fatto ricorso all’ Alano e al Bulldog. Per smussare, infine, gli angoli prodotti da tale incastro si è impiegato il Collie, una razza da pastore in grado di apportare intelligenza, attenzione e spirito collaborativo col padrone.
La definizione di eclettico è dunque del tutto azzeccata.
La nascita del Rhodesian Ridgeback è tanto legata al colonialismo che persino il nome ne è una conseguenza. Rhodesian, ossia della Rhodesia. Dal 1888 in avanti inizia l’egemonia coloniale britannica nel continente africano; Cecil Rhodes, un abilissimo e fortunatissimo uomo d’affari inglese, vi si trasferì e iniziò ad operare nel comparto minerario e soprattutto diamantifero, fondando nel 1889 la British South Africa Company. La quale, nello stesso anno, ottenne una Carta Reale che gli permetteva di governare e amministrare il territorio in cui operava sotto la protezione della Corona. Il territorio in questione consisteva nella Zambia e nello Zimbabwe di oggi, denominati Rhodesia proprio in onore del fondatore della prestigiosa e ricchissima Compagnia. Ridgeback è invece il termine che indica il dorso crestato, ereditato dal cane dei Khoi Khoi, tipico della razza.
Farm dog
Boero significa letteralmente fattore, termine che oggi tradurremmo con una variante di direttore di azienda agricola;all’epoca il nome ero usato per distinguere gli olandesi residenti in patria da quelli divenuti coloni in Africa.
Fattore quindi, da fattoria; è dunque questa la figura nonché il contesto che hanno selezionato e sviluppato la razza, connotandola di tratti rurali e pragmatici.
Nel contesto coloniale di una terra ampia e sconosciuta, con sempre più insediamenti in espansione, il cane era chiamato dapprima ad assicurare protezione e guardia alla proprietà e in seconda battuta a difendere il padrone nei suoi spostamenti. Ecco, quindi, che il Rhodesian Ridgeback nasce come farm dog: cane da fattoria polivalente.
Queste esigenze di potenza, protezione e connessione sono sicuramente ben raccordate nelle qualità fornite dall’Alano e del Bulldog, unite a quelle del Collie.
Tuttavia, esistono molte altre razze indicate per il lavoro di fattoria, le quali sono raggruppate perlopiù sotto la categoria dei Bovari e di cui gli Svizzeri sono gli esponenti più famosi. Quindi cosa possiede di diverso e caratterizzante il Rhodesian? L’ambiente di lavoro.
In Africa la qualifica di farm dog assume tratti più sfocati e crudi. Qui, il clima si scontra con i pascoli e gli alpeggi d’alta quota delle valli svizzere; non li contempla. La savana la fa da padrone. Perciò la pastorizia non è praticabile. Così, laddove il fattore europeo ottiene nutrimento- latte e carne- dai propri armenti quello coloniale deve procacciarselo, aiutato dal proprio cane. E’ questo uno dei principali motivi che vedono come fondamenta del Rhodesian una moltitudine di razze da caccia. Il farm-dog, in Africa, è un animale che non solo fa da cuscinetto tra la fattoria e l’ambiente esterno bensì va anche ad impattare attivamente su quest’ultimo.
Caccia grossa
Così, il Rhodesian Ridgeback si fa cacciatore.
La pratica venatoria, specie in passato, ben si prestava non solo al procacciamento del cibo, in forma di carne, ma anche come sport e passione. Rispetto ad entrambe le declinazioni, ma specialmente all’ultima, l’Africa, ancora una volta, e con la sua fauna, forniva nuovo vigore e rinnovati stimoli.
Animali nuovi e diversi, con caratteristiche peculiari e decine di kg di carne per sostentarsi. Quelli che, tuttavia, hanno davvero promosso il Rhodesian Ridgeback verso la sua maturazione venatoria sono stati i predatori africani. In un tempo in cui l’uomo era profondamente a contatto con la natura, ed era cacciatore anche per hobby, niente valeva tanto come misurarsi con essa, come scalare la gerarchia naturale e la catena alimentare; e i predatori alpha ne erano all’apice.
Iena, ghepardo e leopardo a formare la cupola, ma il punto più alto era ovviamente il leone, il re dell’intero territorio africano.
Predare i grandi predatori. Il culmine del concetto di caccia, e l’Africa ne offriva la possibilità.
Il Rhodesian Ridgeback viene pertanto, nella sua attitudine venatoria, plasmato sullo stampo del leone; viene potenziato sulla misura di questo come obiettivo.
Sotto questo aspetto si evidenza, per la componente psicologica, l’apporto del Bulldog: saldo di nervi e abituato a fronteggiare animali di grande forza.
Nella caccia al leone, tuttavia, non è il cane a dover uccidere, non ne sarebbe materialmente in grado. Il colpo definitivo è riservato all’uomo, che vuole vincere sulla natura sfruttando quelli che sono i suoi denti ed artigli: le conquiste tecnologiche, le armi a scoppio. Ciò che è compito del cane, che per altro va sì dotato di buone basi genetiche di partenza ma va anche addestrato, altra incombenza dell’uomo, è rendere il leone sovrastabile, abbattibile.
Per farlo, deve individuare l’obiettivo, inseguirlo e alla fine confinarlo in uno spazio, accerchiandolo, e sfiancarlo con rapidi morsi seguiti da veloci scatti per evitare il contraccolpo, sino all’intervento dell’uomo. La caccia tipica del Rhodesian è di un tipo che può essere definito di inseguimento-sfiancamento–attesa. E’ un modus operandi che non contempla l’uccisione, ma che di contro coniuga alla perfezione tutti i tratti salienti del tipo di caccia delle razze di discendenza.
L’olfatto del pointer lo indirizza. Una volta che il bersaglio entra nel campo visivo subentra la caccia a vista tipica dei levrieri, nel caso specifico del Deerhound e del Greyhound, dove il primo porta in dote anche l’attitudine a confrontarsi con animali di grandi dimensioni, mentre il secondo dona estrema velocità. Giunto nei pressi della preda, si evidenzia la capacità di contatto offensivo ascrivibile ai terrier; tramite cui si ingaggia con l’antagonista una guerra di logoramento.
Il Rhodesian Ridgeback è un fiorettista: un combattente leggero, fulmineo ed elegante.
Naturalmente, un solo esemplare può ben poco rispetto ad un leone; dunque, veniva impiegato in mute di almeno tre o quattro soggetti. Essendo, poi, all’altezza del re della savana poteva con facilità essere usato anche per prede meno estreme, rientrando nella dimensione più utilitaristica della caccia, come gnu, zebra o antilope.
Lo stile di caccia del Rhodesian Ridgeback è, di conseguenza, funzionale solamente a prede di considerevoli dimensioni, quindi non in grado di nascondersi, e prettamente terrestri. Qualsiasi animale alato potrebbe facilmente eluderlo. E’ questo il motivo per cui presenta affinità con il Gruppo 6 e non con il Gruppo 7, che contempla invece le razze da penna.
Cane da schiavi
Il colonialismo è occupazione e sfruttamento operati con la forza.
Il continente africano era al tempo ricco di risorse minerarie, tra cui i diamanti, e ancor più ricco di uomini: forza lavoro, schiavi. Da cui il commercio e lo sfruttamento della schiavitù nei secoli passati.
Ora, al pari di qualsiasi altra merce, il valore di uno schiavo era correlato al suo stato di salute/ conservazione. Diversamente da gran parte della merce, invece, lo schiavo tende costantemente alla libertà; ossia alla fuga. Ecco, quindi, che nello sfruttamento e nella tratta degli schiavi era imprescindibile uno strumento per braccarli, fermarli e confinarli, ma senza ucciderli; per preservarne la capacità lavorativa. E, guarda caso, questa è proprio la tecnica di caccia in cui è specializzato il Rhodesian Ridgeback.
La coincidenza e l’adattamento sono tali da legittimare il dubbio su quale delle due cacce – al leone o agli schiavi- abbia davvero determinato la tecnica del Rhodesian.
All’utilizzo con gli schiavi si ricollega, poi, in misura maggiore l’affinità per le piste di sangue; tipica appunto del Gruppo 6. E’ verosimile che nel tentare la fuga lo schiavo potesse ferirsi e nascondersi. Così, seguendo la scia di sangue con i Rhodesian, si poteva recuperare il fuggitivo; e rimetterlo al lavoro.
Forme Pregevoli
Un tratto intrinseco dell’eclettismo è l’eleganza, di forma non meno che di sostanza. E così appare il Rhodesian Ridgeback.
Una silhouette armoniosa, pregevole e raffinata che si staglia per 63-69 cm al garrese nei maschi e 61-66cm nelle femmine. L’equilibrio è dato da un corrispettivo peso di 36.5kg per i primi e 32kg per le seconde.
Il torace risulta profondo così da garantire una ottima capacità respiratoria. Il petto discende fino a che lo sterno arrivi quasi a livello del gomito; a cui segue il ventre sinuosamente levrettato, funzionale alla raccolta degli arti posteriori nel galoppo. I quali sono solidi e in appiombo, in tutti e quattro di angoli.
Completano il profilo il collo lungo, tonico e senza giogaia, fuso ad un dorso dritto a cui segue un rene moderatamente arcuato e muscoloso.
Così costruito, il Rhodesian passa fluidamente dal passo al trotto e poi al galoppo, tramite cui è in grado di coprire molto terreno.
La testa sfoggia un cranio piatto e largo molto armonico: la distanza tra le orecchie corrisponde alla distanza tra l’occipite e lo stop e a quella tra quest’ultimo e il tartufo. La stessa misura si ritrova anche nella lunghezza del muso, connesso al cranio da uno stop dolce ma ben identificabile.
All’esterno, il Rhodesian è fornito di un mantello plasmato dall’habitat della savana, che per concetto e caratteristiche ricorda un abito solaro. E’ corto, liscio e di buona tessitura, atto a proteggere il cane dai danni meccanici dell’ambiente e dai fendenti dei suoi antagonisti senza però appesantirlo nei movimenti. Il colore vira dal color frumento chiaro sino alla tonalità più rossiccia. Queste sfumature, proprio come nel solaro, conferiscono potere riflettente al mantello, che scherma l’insolazione, a tutto vantaggio dell’efficienza.
E’ possibile un po’ di bianco su petto, ventre e zampe, ma in eccesso non è desiderabile.
La peculiarità morfologica più lampante, tuttavia, è la nettissima cresta di pelo sul dorso; che cresce in senso opposto a tutto il resto del mantello ed è composta a livello delle scapole dal box, ossia la porzione più larga, dalle corone, che sono le incurvature di pelo, che devono rientrare simmetricamente bel box, e dal ridge, la cresta vera e propria che dal box giunge all’inizio delle anche e si assottiglia sino alla punta.
In definitiva dunque il Rhodesian Rodgeback è come l’eleganza: mai fuori contesto, mai banale ma non alla portata di tutti.
Francesco Predieri, autore di Dog Attitude-Cinofilia di Utilità
Fotografo: Monia Bacheikh, responsabile foto, grafiche e social di Dog Attitude, Cinofilia di Utilità
Fonti: Allevamento Rocktheridgeback nella persona di Laura Tomasi, Enciclopedia internazionale, Cani-Tutte le razze (De Vecchi), Il Rhodesian Ridgeback, Romina e Riccardo Origgi (Bacchetta editore), “Ti svelo il Rhodesian” di Timmy U. Ralfe tradotto in italiano da Rossella Mognoni.